Il giorno dopo, il sapore acre di un incendio che lascia solo macerie fumanti e paesaggi desolati.
Così tanti, uomini e donne, hanno sentito dentro una sconfitta che non è solo – né tanto – elettorale ma quasi antropologica.
Come se non ci si sentisse più sé stessi, come un grande popolo decimato, la sua storia, la sua tradizione, cacciato dal proprio territorio.
Senza questa consapevolezza stringente, non si può comprendere niente su quanto è successo. Tattiche istituzionali, lotte di leadership, contese politiciste, danno il segno di una povertà arida di idee, una miseria culturale e politica non estranea all’aspra condizione che ci è toccata in sorte.
Siamo stati un “popolo”, non solo un partito. Un modo di stare al mondo. Comunisti e socialisti, extraparlamentari e movimentisti, togliattiani o sociademocratici, comunque accomunati – nella differenza di culture politiche e di tattiche – da quell’imperioso desiderio di introdurre nel consesso umano diritti piu’ larghi di quelli naturali, dare all’umanita’ un compito storico piu’ grande della sua condizione in fondo fragile e transeunte.
E questo sogno, diventato nel tempo un progetto vero, ha edificato per decenni strutture e istituzioni, luoghi di incontro e alfabetizzazione intellettuale e politica di massa.
Per carità, limiti ed errori tanti, ma sempre restava la nobiltà del tentativo. E la sua efficacia civile che metteva nel circuito della democrazia anche le spinte sociali più sofferenti e rozze. Dava ad esse speranza di civilizzazione, di conquista, perfino al di la’ del puro aspetto materiale, di dignità e valore.
Si è stratificato così il Movimento Operaio classico, costruttore della modernità e protagonista della Storia. Le sue filosofie, le sue culture, le sue letterature.
E chi come me ha superato i sessanta, ebbe il privilegio grande di stare sull’onda di quella storia nei propri anni più belli. Non solo i grandi partiti e movimenti, ma il mondo intorno a spingere la nostra felicità e passione.
Julian Beck e Judith Makina a sperimentare col Living la decostruzione del vecchio Teatro, Pietro Manzoni a provocare con la sua “merda d’artista”, mentre John Lennon intonava Imagine e un pugile nero squassava il conformismo militarista dell’America.
Perfino gli avversari cattolico – democratici nobilitarono le nostre lotte e battaglie. Fanfani, Moro, Papa Montini. E quel Concilio Vaticano II che sconvolse il mondo cristiano, lo avvicinò a sinistra.
Proprio qualche giorno fa abbiamo pianto sulla bara di Domenico Iervolino, uno tra i più grandi e colti cattolici del dissenso che sulla spinta conciliare approdarono a sinistra.
Non è uno scranno elettorale o un decimale di punto che scompare ma tutto questo, tutto un mondo, la nostra vita.
E non c’entrano i 5 Stelle né la Lega e Salvini. Loro qui da noi occupano un vuoto, presente ormai da tempo.
A metterci fuori gioco è il cambio d’epoca, mai così intenso e profondo prima.
Un tempo le conunita’ umane ai cambiamenti, e ai traumi conseguenti, trovavano sempre le energie e le scelte per andare avanti, aprire nuovi orizzonti. Di questo cambio d’epoca odierno il globo, almeno la sua parte storicamente piu’ ricca, sembra trarre solo difficolta’ e disagio. Per questo sbotta in quel modo il Nord del Paese nostro e il Sud nella maniera che sembra quasi opposta. Uguali e contrari. Senza piu’ equilibrio sociale.
E’ la solitudine, privi tutti di luoghi, di appartenenze, di corpi di intermediazione, di speranze comuni.
Ora certo dovremo riflettere. Ma, spero, senza quel chiacchiericcio inutile, sul pelo d’acqua, che ci caratterizza da anni.
Dovremmo, dovremo chiederci non solo perché non sappiamo e non possiamo più rappresentare tanti ceti che pure vivono disagi. Ma anche se abbiamo ancora voglia di rappresentarli, se non ci sia dentro di noi come un sentimento di declino, di congedo di cupio dissolvi. Di fronte alle tante repliche crudeli della storia.
Quando, nei mesi scorsi, i marittimi della mia città fecero pullman e andarono a Roma per chiedere di non imbarcare più lavoratori stranieri su navi italiane, avvertii un senso di stanca e desolata impotenza. Compresi che chi, con loro, saliva in quei pullman li avrebbe poi rappresentati, ma che – su quei pullman – io non potevo salirci, non con quell’ obiettivo.
Per loro giusto, forse oggettivamente legittimo, ma per me, per la mia coscienza, storia, antropologia, impossibile.
Se non ci interroghiano così, dolorosamente alla radice, sui nodi profondi, replicheremo solo gli spettacoli miseri e anche a volte un po’ ridicoli degli ultimi anni.
La Sinistra, Politica Interna,
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