E’ in corso, in questi anni, un duro attacco al lavoro.Lo sappiamo. Il governo in carica sta portando a termine il processo di progressivo smantellamento del sistema di tutele sociali costruito, con le dure lotte dei nostri padri, tra la fine degli anni 60 ed i primi anni 70. Molti, troppi stanno subendo passivamente quanto sta accadendo; il jobs act è solo la punta dell’iceberg, ma basta allargare il campo visivo per notare l’attacco al lavoro pubblico, con la buona scuola, con le nuove regole sui licenziamenti dei dipendenti pubblici.
In chi non segue con sguardo attento quanto si muove nel mondo del lavoro, può consolidarsi così l’idea che il capitale abbia vinto, che il lavoro sia stato sconfitto e che ci si debba rassegnare all’idea che esso, il lavoro, debba necessariamente, nel nuovo sistema produttivo che si va delinando, essere necessariamente precario, privo di tutele e poco remunerato. Il mantra della flessibilità viene recitato anche da chi, fino a ieri si proclamava paladino dei diritti dei lavoratori.
In questo scontro l’unica forza che, fra mille difficoltà, sta tentando un’azione che, per dirla con parola nobile, è di Resistenza, di nuova Resistenza, è la CGIL.
La risposta della CGIL a chi vuole ridurre sempre più il lavoro a merce di infima qualità, da pagare poco e senza garantire diritti, è la Carta universale dei diritti del lavoro. Con la carta la CGIL, badate bene, non tenta un’operazione puramente nostalgica,di breve respiro, come potrebbe risultare un progetto che miri, sic et simpliciter, a ripristinare l’articolo 18. Tutt’altro.
La Carta tenta 3 operazioni distinte.
La prima: dare diritti a tutti coloro che lavorano. Tutti. Su sicurezza, su orario di lavoro (che non può estendersi oltre le 10 ore giornaliere), sulle tutele processuali, sui diritto
La seconda: ripristinare ed estendere le tutele sul lavoro subordinato, con una forte restrizione delle tipologie di lavoro “atipiche”, sia nelle forme che nelle possibilità di loro utilizzo.
La terza: attuare, finalmente, l’articolo 39 della Costituzione su registrazione e statuto delle organizzazioni sindacali, per il riconoscimento della loro personalità giuridica che fornirebbe loro maggior potere contrattuale.
La Carta è, insomma, una sommatoria di intenti che muovono dalla parola d’ordine Dignità e che prendono la direzione del rafforzamento delle tutele di lavoratori pubblici e privati, dipendenti ed autonomi, della soppressione di tutte le forme lavorative che hanno frammentato e precarizzato lo scenario lavorativo, al ripristino dell’articolo 18 in nuova veste, maggiormente tutelante ed estesa anche ad aziende al di sotto dei 15 addetti fino a giungere alla piena attuazione dei princìpi costituzionali in materia.
Non ho la pretesa di spiegare, in poche righe, un progetto di così ampio respiro; ho elencato solo alcune delle ragioni portate avanti dalla Carta.
La CGIL, sul progetto, ha lanciato la consultazione straordinaria degli iscritti, per ottenere mandato verso due grandi imprese: la prima, una raccolta di firme a sostegno di una proposta di Legge d’iniziativa popolare che porti la Carta alla discussione parlamentare; la seconda, la raccolta di firme a sostegno di alcuni quesiti referendari, abrogativi dei peggiori aspetti del jobs act.
Bene: io mi auguro che Sinistra italiana, il nome provvisorio che l’assemblea di Cosmopolitica ha dato al nuovo nuovo partito, in attesa del congresso fondativo di dicembre, sia davvero e primariamente il partito del Lavoro; non come nome, aspetto che a chi scrive interessa poco; ma nella sostanza: un partito capace di stare al fianco della CGIL, nel rispetto dell’autonomia di un sindacato rispetto ad una forza politica; al fianco in questa battaglia per un nuovo Statuto dei lavoratori, In Parlamento e nelle piazze ed al fianco in mille altre battaglie presenti e future, a cominciare da quella per la salvaguardia della nostra Costituzione nata dalla Resistenza dei nostri padri, dei nostri nonni.
L’auspicio è che nasca una forza autonoma ma con vocazione maggioritaria, con vocazione di governo; una forza che, soprattutto, abbia sempre e per sempre chiaro da che parte stare, nel conflitto tra lavoro e capitale: dalla parte del lavoro anzi, per meglio dire, dalla parte dei lavoratori e di chi li rappresenta, con forza e con coraggio, da 72 anni.
Sono nato a Roma nel 1967, ho vissuto in Molise fino a 18 anni, poi per ragioni di studio ho vissuto prima a Teramo, poi a Parma dove mi sono stabilito definitivamente. Laurea in giurisprudenza, con tesi in Diritto delle assicurazioni. Faccio politica da oltre 25 anni, dal movimento studentesco della Pantera, per approdare tra le file di Rifonzazione comunista, partito nel quale sono stato per anni in segreteria provinciale, occupandomi di economia, lavoro e welfare. Ho lasciato Rifondazione nel 2014 e da allora lavoro, con la comunità di passioni di Esse per un nuovo, grande Partito della sinistra. Attualmente sono membro del Comitato operativo regionale dell'Emilia Romagna di Sinistra Italiana, nonchè co-portavoce provinciale.
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La Sinistra, Politica Interna, Società,
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