Quale politica delle alleanze? Chiunque sia impegnato, direttamente ed indirettamente, alla nascita di un nuovo soggetto della sinistra italiana, si trova a ripetere questa domanda a se stesso e agli altri almeno cento volte al giorno, in modo ossessivo.
Le vere alleanze vanno ricostruite prima di tutto con i movimenti e i partiti omologhi presenti nelle altre nazioni Europee. E’ necessario che il nuovo partito condivida fin dalla sua formazione la creazione di una cultura politica e di un progetto di società con le altre forze europee, per la costituzione di una nuova Internazionale. Il concetto di centrosinistra così come è stato inteso in Italia dalla fine della prima Repubblica, è stato relegato alla storia dalla acquisita vocazione maggioritaria del principale partito su cui si aggregava l’alleanza. Dobbiamo toglierci subito un dubbio: non può esserci coalizione in un’elezione che prevede un solo turno con un qualsivoglia partito a vocazione maggioritaria, se prima non cambia la vocazione “elettorale” del nuovo soggetto politico. La vocazione maggioritaria dei maggiori Partiti, presenti nell’attuale arco costituzionale, non è solo individuabile nelle regole costituenti di questi partiti (il PD per esempio la rivendica nel proprio statuto costitutivo), ma in un atteggiamento elettorale-amministrativo ciclico, che si conferma con sempre più frequenza in molte realtà. Ignorare questa condizione pone qualsiasi forza a vocazione proporzionale (che quindi tende alla coalizione con altre forze politiche, per inclinazione naturale), di fronte ad un risultato elettorale che la relega sistematicamente, con numeri residuali, ad una subalternità rispetto alla capacità di fagocitare consensi delle “strutture partito” a vocazione maggioritaria.
I presupposti delle leggi elettorali che contraddistinguono modalità diametralmente differenti di elezione tra i diversi livelli istituzionali dello stato, non permettono di concepire una politica guida delle alleanze che sia stabile e monolitica. L’introduzione di un doppio turno nelle elezioni parlamentari, ad esempio, cambia ancora le considerazioni di opportunità e di analisi nel caso delle elezioni nazionali. Non si può affrontare una questione che ha una portata vitale per il futuro del nuovo partito, in modo grossolano e generalizzato, legato alle contingenze e alla contrarietà alle scelte di altri partiti, ma deve entrare necessariamente nel dettaglio della singola condizione territoriale, elezione per elezione. L’autodeterminazione territoriale è un altro “fatto” necessario e imprescindibile per la formazione di una forza politica credibile e contemporanea. Di sicuro, assumendo la vocazione maggioritaria nella formazione del nuovo partito, assumiamo anche l’assoluta necessità di strutturare un’indipendenza politica almeno nel primo turno elettorale che può divenire solida per definire un’identità certa e riconoscibile. Le evoluzioni dei partiti della sinistra europea, però, ci stanno insegnando come la rivendicazione di proposte socialmente forti e di una cultura politica qualificante, porti queste forze al tavolo del governo con un sostegno popolare determinante e che talvolta è maggioranza relativa, ma che difficilmente è sufficiente a permettere governi autonomi. A questo fine è necessario mantenere aperte le opportunità di dialogo, di chiare e comprensibili convergenze programmatiche e di governo con forze progressiste e riformiste, a tutti i livelli istituzionali, senza mai darne per scontati gli esiti. Non è detto che si debba continuare a convergere in vecchi schemi di alleanza che, evidentemente nella maggioranza dei casi, oggi risultano logori e poco credibili al confronto con l’elettorato. Non è detto, però, che nel futuro ci si debba necessariamente precludere la possibilità di aprire un confronto nuovo, basato su nuovi obiettivi amministrativi con forze potenzialmente compatibili con il nostro modo di vedere il futuro, specie nei luoghi i in cui il “vecchio” centrosinistra si è reso protagonista di esperienze di governo felici, migliorabili e ripetibili. Se è vero che la nascita di una nuova forza politica a sinistra passa per il recupero della propria identità e per l’innovazione di una nuova cultura politica, la risposta alla domanda sulle potenziali alleanze è semplice. Ci si può alleare con altre forze politiche, afferenti ad una visione keynesiana della società, quella cioè di “Uno Stato Paterno” con i cittadini, quando si possa conservare gli obiettivi fondanti e non negoziabili, di difendere i più poveri , governare in prima istanza per gli ultimi, operare per una redistribuzione delle risorse, ricucire il tessuto sociale, apportare profondi cambiamenti nei modelli di sviluppo verso nuovi principi di sostenibilità e promuovere equità sociale. Le alleanze elettorali non possono essere un elemento fondante di una forza politica. Saranno sempre una conseguenza delle scelte delle singole realtà territoriali, delle chiare indicazioni di volontà conseguenti agli esiti dei voti popolari, ma non hanno nulla a che vedere con gli elementi fondanti su cui strutturare una forza, che possa dirsi davvero “nuova”. Fondamentale e necessario, invece, diventa il costruire un’ampia alleanza programmatica internazionale. Un fronte europeo che parta dalle nazioni che si affacciano sul mediterraneo e che cambi radicalmente le politiche dell’Unione e la riformi a partire dai trattati internazionali che favoriscono l’austerità. Costruire una proposta politica per un nuovo modello di società, inclusiva, solidale, equa che parta dal Mediterraneo e dalle sue risorse territoriali e dai sui problemi, è un passo fondamentale verso la Sinistra che vogliamo costruire. La Sinistra sta in quello che faremo, non può essere semplicemente il lato dove sediamo nelle assemblee delle istituzioni. [continua]
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