La debolezza della proposta di un nuovo soggetto della sinistra italiana così come questa è stata avanzata nel corso di questi mesi nei diversi conciliaboli (che non hanno ancora sortito effetti pratici, salvo quello riguardante il gruppo parlamentare) è emersa in tutta la sua drammaticità con la grottesca vicenda della mancata presentazione della lista romana.
In realtà è il principio di fondo che aveva ispirato, per un lungo periodo, questa ricerca che risultava profondamente sbagliato perché legato all’idea di ricostituzione di uno schieramento di centrosinistra e di governo.
Il centro-sinistra era finito prima ancora di cominciare e il PD non è certo mutato geneticamente: è nato così con le stimmate della veltroniana “vocazione maggioritaria” vocazione poi condotta da Renzi sul terreno di un personalismo aggressivo, autoritario con relativo contorno di “giglio magico”, cordate varie in sede locale, esplosione della questione morale.
Il sistema politico italiano si trova così ad essere stretto da una drammatica tenaglia che rischia di stritolarlo:
Da un lato l’assolutismo personalistico portato avanti da Renzi e dal suo clan, verso il quale è mancata fin qui una concreta analisi di opposizione verso l’incredibile ascesa realizzata in questi anni. Un’ascesa incredibile e del tutto ingiustificata sul piano politico – culturale che ha subito un fortissimo abbassamento di livello nella capacità di lettura e di proposta del reale;
Dall’altro l’ assolutismo portato avanti dal M5S che si propone di “rifare l’Italia” tutto da solo, quasi si trattasse di una missione di tipo religioso condotta in nome di un assolutismo di principi di proprietà di alcuni iniziati e in nome di istanze che prescindono da una qualsiasi analisi delle classi e di una loro articolata rappresentanza politica. Il M5S si muove sul terreno
La questione del Partito, deve poi essere intesa come quella di un soggetto che non raccoglie i cocci di un tragico esistente: in questo senso è possibile avanzare proposte che evitino, da questo punto di vista, l’eterno ritorno del sempre eguale già fallito.
Mancano nelle proposizioni fin qui lette e ascoltate le analisi di fondo e proposte incisive.
Ne ha scritto in termini generali Jean Claude Michéa autore dei “Misteri della Sinistra”:
La forza della critica socialista nasce proprio dall’aver compreso fin dal XIX secolo che un sistema sociale basato esclusivamente sulla ricerca del profitto privato conduce l’umanità in un vicolo cieco. Paradossalmente la sinistra europea ha scelto di riconciliarsi con questo sistema sociale, considerando “arcaica” ogni critica radicale nei suoi confronti, proprio nel momento in cui questa comincia ad incrinarsi da tutte le parti sotto il peso delle contraddizioni interne. Insomma, non poteva scommettere su di un cavallo peggiore! Per questo oggi è urgente pensare la sinistra contro la sinistra
Responsabilità evidenti all’interno del drammatico stato di cose dentro cui ci troviamo, toccano anche a soggetti più radicalmente collocati nel contesto politico rispetto a quelli citati, autori anche di tentativi interessanti, ma mai approdati alla concretizzazione di un itinerario di soggettività anche per via di una ragione di carattere “conservativo” di spezzoni identitari, posti sia sul piano teorico sia sul terreno organizzativo, che hanno finito con il frenare un processo possibile di contaminazione e aggregazione cui fornire una traccia di soggettività da organizzare concretamente sul piano politico (pur esistendo beninteso una base sociale di riferimento presente, anche al di là delle condizioni oggettive di inasprimento delle contraddizioni sociali che la crisi della globalizzazione e la ripresa dei pericoli di guerra hanno oggettivamente introdotto nello scenario internazionale).
Si ritorna, a questo punto, sul tema del partito per porre un interrogativo: è possibile che si possa riprendere a riflettere sul partito, al riguardo della concezione e della finalità dell’organizzazione politica in funzione di sconfiggere la tendenza allo svuotamento della loro funzione artatamente accentuata per aprire varchi enormi alle idee di assolutizzazione del personalismo.
Sicuramente nel corso degli anni sono cambiate tante cose, in particolare rispetto al rapporto tra politica ed economia e ancora tra politica e comunicazione di massa (al punto da modificare sensibilmente il rapporto tra struttura e sovrastruttura così come questo eravamo stati abituati a considerarlo nel tempo) e, infine, tra politica e cultura.
Vale la pena, dunque, interrogarsi a fondo su queste osservazioni.
Quali sono allora i compiti di un partito, di un’organizzazione politica?
a) Conferire a gruppi sociali, ceti, classi e individui un’identità politica attraverso un vero e proprio processo di identificazione;
b) Istituire stabilmente canali e luoghi di comunicazione sociale di mobilitazione e di partecipazione politica attraverso un lavoro di socializzazione che deve essere svolto indipendentemente dalla pluralità di agenzie comunicative che caratterizzano la modernità;
c) Collocare e integrare in un contesto politico generale (a dimensione nazionale e sovranazionale) le divisioni politicamente rilevanti che attraversano a vari livelli (sub-culturali, di classe ecc.) una determinata società attraverso la determinazione di un meccanismo di integrazione politica;
d) Trasformare le domande sociali in alternative politiche semplificate nel senso dell’aggregazione politica degli interessi;
e) Predisporre gli obiettivi e i programmi per le politiche pubbliche in funzione del “policy making”.
Sarà soltanto sulla base della declinazione coerente di questi punti su base organizzativa e nelle forme stabilite della democrazia interna che si potrà realizzare la forma possibile della partecipazione istituzionale attraverso le elezioni.
Soprattutto però sarà necessario avviare una procedura del tutto nuova per la costituzione di un gruppo che svolga la funzione promotrice di questa nuova soggettività, che è indispensabile e urgente costruire.
Occorre un nucleo fondativo, ed in passato ho osato rivolgermi alla dirigenza di SeL e della FdS: l’analisi dello stato di cose in atto mi fa pensare che questo livello sia ormai del tutto insufficiente.
Serve una forte mobilitazione dal basso, portata avanti in partite da quelle compagne e compagni, in particolare giovani, che in questi anni non hanno trovato spazi concreti per un impegno politico, allontanati da verticismi di varia natura.
Una forte mobilitazione dal basso che, a mio modesto avviso, dovrebbe sfociare in una ripresa del principio dell’autoconvocazione che, negli anni’80 aveva fornito comunque risultati apprezzabili sia in campo sindacale, sia in campo politico, con l’obiettivo di formare un vero e proprio “nucleo fondativo” che ponga ai partiti la questione dell’unità e del rinnovamento.
Un nucleo fondativo che verifichi la possibilità di intraprendere un cammino del genere, con un traguardo parziale davanti, delineato in modo molto preciso: la costruzione di un soggetto politico, un partito, fondato sul modello dell’integrazione di massa, posto non tanto sul piano della ricerca immediata della dimensione numerica, ma della struttura organizzativa.
Non serve una assemblea nazionale convocata dall’alto, che si risolverà in una grande kermesse al termine della quale le cose resteranno più o meno come erano prima, in attesa della prossima scadenza elettorale.
La mia proposta prevede, invece, la convocazione di assemblee provinciali e successivamente regionali dalle quali esca un certo numero di delegati (100?) , senza rispetto di ruoli ricoperti in anticipo o di quote prestabilite, che si mettano al lavoro per un certo numero di mesi, producendo un documento politico, una proposta di struttura organizzativa, una idea di statuto: insomma, una vera e propria “assemblea costituente”, al cui esaurimento dei lavori si arriverà convocando un congresso fondativo. I gruppi dirigenti attuali avranno, semplicemente, il compito di “garantire” l’ordinato sviluppo democratico dei lavori, che a tutti i livelli dovranno vedere presenti soltanto coloro i quali prenderanno una forma di fermo impegno di presenza e militanza nel nuovo partito: i componenti degli attuali gruppi dirigenti, per partecipare all’assemblea costituente, sono chiamati necessariamente a rilegittimarsi soggettivamente e dovranno farsi eleggere nelle assemblee regionali. Nessun delegato di diritto, nessun “leaderino” pre confezionato, con più o meno del 50% di popolarità
Una domanda finale: perché a sinistra non si discute più di questi elementi partendo dalla necessità di un’autonomia politica posta nei termini della condizione utile a esercitare egemonia culturale e sociale e ci si limita a disamine riguardanti esclusivamente le logiche appartenenti all’asfittico quadro politico esistente?
La Sinistra, Politica Interna,
di: Simone Oggionni,
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