Ricordo ancora una lezione ai tempi del Liceo quando ci fece presente la nostra professoressa che La nuova Atlantide fosse l’ultima opera letteraria dell’era moderna e contemporanea a parlare di futuro immaginando una società perfetta o comunque migliore di quella dell’oggi. L’ultima Utopia.
Riflettendoci e guardando non solo alla letteratura, ma anche alla cinematografia, possiamo dire che nonostante l’ideale socialista per un mondo migliore esista da oltre un secolo e mezzo, nonostante l’epoca contemporanea inizi con la Rivoluzione francese, il nostro immaginario, che è ancora quello dell’uomo della prima metà del XX secolo, fatica ad immaginare un mondo migliore anche nelle sue fantasie.
Se scaviamo nel passato, vediamo che tutta la Contestazione ha prodotto una innumerevole quantità di saggi, romanzi, pellicole, con tantissimi spunti e riflessioni, ma al di là della pratica dei diritti individuali e di una nuova forma relazionale che contestava il cliché di famiglia e i rapporti monogamici, la dimensione sociale è sempre stata in qualche modo evitata.
Negli anni precedenti addirittura, durante la formazione dei regimi totalitari, l’espressionismo di un film come Metropolis ci raccontano parecchie cose sull’umanità del futuro.
Prima di tutte il ruolo delle macchine nella società, tanto da essere protagonista nel ruolo di macchina che si fa donna, una nuova Eva, a metà tra gli idoli come il vitello d’oro e la figura di Spartaco.
Qui infatti la critica alla società vede le macchine sostituirsi lentamente al lavoro dell’uomo prima, e per questo motivo diventare motivo di adorazione, ma in una fase immediatamtente successiva, sostituirsi all’uomo stesso, pressoché incapace di avere un ruolo in un mondo creato solo per produrre.
Di sfondo a tutto questo un’architettura decò a metà strada tra i bei palazzi di New York e Vienna (il futuro e la Finis Austriae), ispirati al monumento di Tatlin per la Terza Internazionale, la torre di Babele e le antiche zigurat. La storia dell’uomo si mischia anche qua tra passato e futuro per denunciare una situazione di sudditanza e schiavitù che porta alla presa di coscienza e alla rivoluzione.
Cinquanta anni più tardi la stessa atmosferà decò degli anni trenta, con macchine volanti, fumi e inquinamento è lo scenario di Blade Runner, dove l’uomo produce in serie i suoi stessi schiavi, i replicanti, identici ad essere umani normali nell’aspetto, ma molto più forti e a rapida obsolescenza, creati per lavorare e morire prima che si sviluppi in essi una coscienza di classe.
Anche qua vediamo futuri dove è assente la componente politica e religiosa, due caratteristiche fondamentali della natura umana.
Futuri distopici che riprendono e fanno proprio dell’immaginario collettivo quell’architettura che era la risposta formale di modernità del periodo pittorico detto “ritorno all’ordine”, che vede negli anni venti, dopo il dramma della Prima Guerra Mondiale, l’abbandono delle innovazioni formali delle Avanguardie artistiche e un ritorno alla rappresentazione figurativa, come se un disperato umanesimo potesse alleviare i dolori e le perdite dovute al conflitto. E così l’architettura cancella le eleganti forme floreali dell’Art Nouveau per passare alle eleganti forme geometriche del decò intrise di un eclettico che guarda ad ogni cultura: queste è l’epoca delle prime auto da corsa e dell’industria.
In questi anni il cinema muto diventa parte della cultura di massa e nasce anche la fantascienza come letteratura di consumo, figlia di quella d’appendice che aveva unito nel XIX secolo il mondo borghese in ascesa con una istruzione e amante dei quotidiani.
I racconti di un (social)democratico come Lovecraft nascono negli anni ruggenti, ma mostrano le striscianti paure e angosce della società capitalista americana prima e dopo la crisi del ’29. Paure che non vedono speranza di una società migliore grazie ad un qualche tipo di cambiamento.
Una stratificazioni di spunti proprio nate tra gli anni venti e trenta portano ad identificare con alcuni oggetti e vari stilemi un certo immaginario canonizzato di ciò che è futuribile.
Ormai a distanza di un ventennio possiamo dire che gli oggetti “classici” che vediamo in un film come Matrix, come il telefono in bachelite o la poltrona di pelle di Mies Van Der Rohe non sono poi così decontestualizzati.
Gli anni ‘80 e ‘90 del XX secolo immaginano mondi futuri del tutto secolarizzati e intrisi sempre di una natura totalitaria oppure dove è l’anarchia di un mondo come quello dei film, Mad Max, un mondo desertificato a seguito di un conflitto nucleare, oppure quello proposto dal film Waterworld, un mondo di acqua post global warming.
Tuttavia tutte queste fantasie distopiche sono legate in un filo comune, anche questo figlio degli anni trenta, ovvero la fede eccessiva nella tecnica, la tecnica di Heidegger, che porta alla rovina dell’uomo. Pensiamo al cartone animato Conan, il ragazzo del futuro di Hayao Miyazaki o al film L’esercito delle dodici scimmie di Terry Gilliam. Tutti esempi di un mondo distrutto dagli errori della tecnica e governato da una casta dispotica di scienziati alla Mengeleve.
Poi c’è chi ha definito d’ispirazione sovietica quella che è la società superorganismo del cartone animato per bambini (ma non troppo) Zeta la formica, dove la società è organizzata, totalitaria, gerarchica e dove nessuno può scegliere il proprio destino, come era divenuta la vita di molti oltre la cortina di ferro.
Del resto questa riflessione mi rende chiaro che, proprio l’epoca contemporanea, che era nata sotto l’idea positiva dell’illuminismo di tornare ad una nuova classicità, in effetti ci è riuscita, non in senso materiale, ma in senso morale ed etico. L’uomo è infelice e vuole raggiungere gli dei, ma pecca di presunzione e nella sua tracotanza fallisce. Vale per Icaro che usa la tecnica del padre Dedalo, ma si avvicina al sole e finisce bruciato. Vale allo stesso modo al dottor Frankenstein, che con idee figlie della stagione dei lumi, sprofonda nelle tenebre cercando di sfidare il confine tra la vita e la morte creando un mostro. E il sentimento della vergogna del fallimento è sempre quello che prevale.
Un uomo come quello del film Prometheus che si reca oltre le stelle conosciute per cercare il luogo di origine di chi ha creato l’umanità, nella presunzione di cercare un padre divino buono, un ingegnere, un dio di scienza, ma trova invece un Crono, che non solo divora i suoi figli, ma che li ha creati per essere schiavi e li avrebbe voluti uccidere per evitare che gli potessero rubare il fuoco.
E anche qui la tracotanza dell’uomo viene punita.
Perché tutti questi spunti artistici e letterari dovrebbero avere a che fare con la politica e con idee politicamente collocate a Sinistra?
Se ci riflettiamo è incredibile come oltre un secolo e mezzo di lotte, rivoluzioni, capovolgimenti di fortuna delle idee socialiste, che sono ad oggi il fronte più progressista per definire un futuro migliore e positivo per la vita delle persone, siano del tutto incapaci di permeare l’immaginario popolare che caratterizza in modo molto pesante la cultura di massa.
C’è sempre il tema della rivolta per la libertà, ma la liberazione e il come si possa sviluppare non hanno trovato spazio tra le pagine o i fotogrammi. Forse perché potrebbe essere noioso, ma probabilmente è perché al di là di quello che crediamo, siamo sempre ancorati agli stereotipi, addirittura a quelli inventati cento anni fa.
Se riflettiamo su questo fatto, ha dell’incredibile che anni di lotte, costruzione di relazioni, produzione di riflessioni, pensieri, governi, siano state del tutto incapaci di influenzare questo tipo di immaginario. Lo hanno fatto esclusivamente le cose negative, le dittature, le deviazioni della scienza, ma le idee progressiste non riescono a rompere questa barriera.
Ed è un problema gigantesco per la Sinistra se vuole contrastare i populismi, deve comprendere ciò che è la letteratura popolare, la dimensione pre-politica e la sua narrazione nell’immaginario dell’uomo comune.
Questo fatto merita una riflessione molto seria, perché al di là di quella che può essere definita una lettura leggera, ci sono fattori culturali, sociali ed economici che contraddistinguono il nostro tempo come il passato recente.
Per esempio durante il maccartismo negli Stati Uniti ci fu un’ondata di oscurantismo verso tutta la letteratura popolare di basso profilo oltre che sul cinema. La paura dello spettro rosso andava a caccia di fantasmi anche dove non ci sarebbero mai potuti essere, ma se i fantasmi erano un pericolo per l’identità americana, allora lo era sicuramente tutta la produzione horror degli anni ’50, dal cinema, ai racconti ai fumetti, tensione che culminerà con la Guerra Fredda e la paura di un conflitto nucleare.
Figlia di questa paura che contraddistingue buona parte dell’immaginario del XX secolo sui futuri distopici è anche Il Pianeta delle Scimmie, uscito nel 1968 (così come 2001: Odissea nello spazio) in cui l’astronauta Taylor -nome non casuale- scopre che la civiltà industriale è stata distrutta dall’uomo stesso e il mondo è popolato da scimmie.
Nel prequel (uscito recentemente nelle sale cinematografiche), lo scimpanzé Cesare, a metà fra Prometeo e Mosé, porta la sua “gente” dalla condizione di schiavi a quella di società, dal conflitto alla pace, passando però dalla legge e dal sacrificio, fino ad arrivare in una nuova terra dove poter costruire la loro società giusta (il socialismo in un solo paese), senza gli esseri umani, rei di aver inquinato il mondo.
Ancora un attacco agli eccessi della scienza e dell’industria, il filo conduttore dell’intera fantascienza.
Forse questo è il solo esempio di mondo prossimo che forse può avere una certa affinità con gli ideali di una società giusta. Ma sono scimmie, non esseri umani, come a delimitare che una certa idealità per una società giusta ed equa non siano possibili per via della natura umana; del resto il leitmotiv è sempre lo stesso e si ripete, poiché gli uomini nei loro difetti e nel loro desiderio di avvicinarsi ad un dio, anche minore, finiscono sempre per bruciarsi le ali e a precipitare come accaduto a Icaro.
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