L’enfasi iniziale, con cui abbiamo approcciato tutti alla nascita di un unico partito della sinistra italiana, si sta spegnendo lentamente ogni giorno che passa, dietro a questioni contingenti e posizioni che si fanno sempre più incomprensibili e autoreferenziali. La nascente comunità è confusa e inchiodata ad una subalternità diretta all’attuale schema politico, il cui sovvertimento era invece il presupposto principale del percorso comune. Lungi da me voler stilare una fredda ed ingenerosa disamina degli errori commessi, non è questo l’intento di questo intervento. Credo fermamente però, di dover riaffermare alcuni dei presupposti che reputo fondamentali per riprendere il filo di una matassa che invece, al momento, sembra essersi annodata irrimediabilmente.
Noi non ereditiamo semplicemente uno spazio politico vacante o una collocazione geografica alla sinistra dell’arco politico nazionale.
Non siamo semplicemente gli eredi di una storia e di una cultura oppure gli eroici riunificatori dell’eterna diaspora del glorioso partito comunista.
Noi siamo gli eredi di una responsabilità, che è la diretta conseguenza di un diffuso bisogno sociale, che è sempre stato presente tra le persone, nelle epoche di crisi, economica e culturale, come quella che stiamo vivendo.
Quello stesso bisogno sociale che quasi un secolo fa diede vita al più grande partito rivoluzionario d’occidente.
Un bisogno sociale che nasce dall’aumento esponenziale delle disuguaglianze sociali, civili ed economiche, nell’impossibilità per i cittadini di vedere contestualizzati i propri percorsi di vita in un tessuto nazionale ed europeo, anche solo nelle necessità primarie, come il lavoro, la casa, la tutela della salute, o anche solo la semplice possibilità di mettere su famiglia o di poterla mantenere dignitosamente.
Il dibattito ed il percorso di costruzione di una forza politica che possa davvero tornare a rappresentare una rivoluzione degli status quo, che possa abbattere la cristallizzazione e la conservazione dei poteri costituiti che sono diventati lobby senza regole, che possa determinare un accesso pieno e paritario alle opportunità e ai diritti minimi garantiti dalle leggi dello Stato, è invece integralmente arrotato attorno alla semplice strategia elettorale rispetto alle elezioni amministrative.
Le ampie praterie che il PD renziano sembrava averci lasciato davanti nella deriva populista e plebiscitaria intrapresa, fino a qualche mese fa, somigliano sempre di più ad un aspro e stretto sentiero nella confusa e, oramai, tutta identica a sè stessa, foresta della politica italiana.
Ci siamo ripetuti fino allo sfinimento come questo non fosse una “fusione a freddo” tra gruppi dirigenti, la somma sommaria tra i reduci di percorsi politici giunti per natura ad un termine ultimo, il discioglimento organizzato tra sigle politiche in un unico soggetto, ma il principio vero di qualcosa di nuovo.
Niente di quello che è accaduto fino ad ora ha lasciato presagire la reale intenzione, da parte di chi sta impostando la costituente, di dare vita ad un dibattito ampio che elaborasse una vera innovazione politica attraverso una cultura politica unitaria, di un orizzonte unico da porci come obiettivo per mettere insieme e identificare un’unica comunità. Al contrario si è proceduto erroneamente per riduzione, alla ricerca di una sintesi di vertice che permettesse una convivenza accettabile tra gruppi che condividono una matrice storica e valoriale, ma che, evidentemente non hanno ancora in comune quello Berlinguer definiva come “pensiero lungo”. La visione del paese da costruire insieme, dell’alternativa reale da perseguire e praticare quotidianamente rispetto al neoliberismo imperante, all’antipolitica o ai nazionalismi retorici che sono diventati la grammatica unica della politica italiana. Senza percorsi diffusi di contaminazione culturale e di ricerca politica, di formazione di una coscienza comune e del senso di appartenenza ad una lotta con obiettivi di breve, medio e lungo termine, ogni mediazione, tentativo di sintesi o di fusione produrranno sempre risultati sterili e insufficienti, sia a livello politico che elettorale.
Per questo credo fermamente che non ci si possa accontentare e che si debba affiancare al percorso congressuale preimpostato, che si fa ogni giorno sempre più stretto ed impervio, un grande lavoro organizzato in campo aperto, di responsabilità tra le persone. Attraverso la programmazione , prima del congresso, di eventi e assemblee ufficiali, nelle comunità locali, aperti e trasparenti, con momenti e laboratori locali di condivisione e reciproca contaminazione, innovativi e quotidiani che liberino le energie fin ora soffocate.
Per dare vita finalmente a qualcosa di nuovo e rivoluzionario, per un’ Italia nuova, un’Europa nuova, per tornare a combattere e a lavorare insieme per un futuro in cui tornare a credere.
La Sinistra, Politica Interna,
di: Luigi Nappi,