Partito dal nulla, diventato un’icona planetaria della lotta a Cosa Nostra, Pino Maniaci è ora nella polvere, accusato di estorsione, obbligato a dimorare lontano dalle province di Palermo e Trapani. Le intercettazioni che lo inchiodano sono un pugno nello stomaco. La posizione del giornalista siciliano, per il quale vale ovviamente il principio della presunzione di innocenza, è infatti estremamente grave. Avrà molto da raccontare ai magistrati, ma dovrà dare spiegazioni anche e soprattutto a coloro i quali hanno sempre creduto in lui.
Questa vicenda, anche se la più appariscente tra quelle si sono finora verificate, non è l’unica che tormenta l’antimafia italiana, ultimamente sotto i riflettori più per polemiche e scandali da accertare che per le proprie azioni meritorie. Se è fisiologico che qualsiasi grande movimento abbia scarse capacità di controllare i suoi singoli appartenenti, è innegabile che gli episodi negativi comincino ad essere davvero troppi e ad intaccarne purtroppo l’immagine.
Negli ultimi decenni l’antimafia ha conosciuto una crescita per certi versi imprevedibile, badando forse più alla quantità che alla qualità del proprio generoso operato, ma è giunto il momento di avviare una riflessione seria. Tra i tantissimi che offrono tempo ed impegno senza chiedere nulla in cambio, si nascondono anche soggetti che hanno trasformato la propria antimafia in azienda, che hanno smarrito per strada l’umiltà ed il senso autentico della propria azione. All’interno di una compagine sociale che rifiuta soprusi e prepotenze non sono tollerabili intoccabili, santi e re davanti ai quali inginocchiarsi.
Allora che la vicenda di Maniaci sia l’occasione per pensare in silenzio, per mettere la sordina a certi animali da convegno, ai tromboni che sanno suonare soltanto musica stonata dalla retorica. A chi parla ma non ha niente da dire, a chi parla ma non sa dire nulla che arrivi al cuore e alla mente dei cittadini. È dalle origini che occorre ripartire, dalla purezza di una battaglia priva di calcoli politici ed economici, combattuta con il sorriso in nome di un’Italia migliore, libera dalle mafie. Questo Paese ha bisogno di persone normali, capaci di lavorare dietro le quinte per fare dell’antimafia un sentimento popolare. Di certo non di attori protagonisti che dimenticano il copione o di eroi che potrebbero cadere da un momento all’altro.
La mafia si nutre di favori, ma non può più riceverne dai suoi nemici.
di: Alberto Rotondo,
di: Nicolò Tammuzza,
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