A volte si ha l’impressione che in politica si possa dire tutto e il suo contrario. A distanza di pochi mesi. Come in un mazzo di carte, a turno se ne pesca una diversa. Poi si scarta, si rimescola e il gioco ricomincia.
Forse è anche per questo che – talvolta – il commento politico annoia, il politicismo degli appelli, delle repliche e delle controrepliche ancora di più. Bella è invece la politica che si confronta a viso aperto sulle grandi questioni del mondo, sulla strategia, sui programmi, sull’idea e sulla pratica della trasformazione.
L’intervista che Massimo D’Alema ha rilasciato alcuni giorni fa all’HuffPost è una bella intervista. Sviluppa un’analisi rigorosa e condivisibile dello scenario politico europeo, a partire dal voto francese. Il cuore del ragionamento è uno: soltanto una sinistra forte, che riconquista una identità chiara, è in grado di contenere le spinte a destra e di contendere alle forze anti-establishment, nella società, il consenso di vasti settori impauriti e impoveriti.
Da qui discende la necessità di una svolta e di una discontinuità rispetto alle politiche neo-liberiste; la necessità di un programma riformatore chiaro; e, infine, la necessità di un movimento, di una forza politica dotata di una massa critica in grado di realizzare gli obiettivi evocati.
Sul versante francese – dice D’Alema e io condivido – Mélenchon più Hamon. Entrambi interpreti di un programma coraggioso (sia sul piano europeo sia sul piano interno) che accetta concretamente la sfida del governo. Se i due candidati avessero unito prima del primo turno le loro forze, forse oggi racconteremmo non soltanto una potenzialità ma anche un ballottaggio diverso.
Questo è, sin qui, il ragionamento di D’Alema.
A cui ha risposto, sempre sull’HuffPost, Nicola Fratoianni. Ciò che mi pare emerga è il tema (sarebbe forse meglio dire: l’ossessione) del cartello elettorale, dell’unione – in vista delle prossime elezioni politiche – di tutte le sigle a sinistra del Partito democratico.
Certo, Fratoianni cita il Paese reale, alcune proposte programmatiche (tra le quali segnalo l’uscita dalla Nato, a proposito di interlocuzioni e convergenze possibili) ma l’attenzione è sulle prossime elezioni politiche e probabilmente sulla percentuale dello sbarramento d’accesso. Come se la storia, recente e meno recente, non avesse invece decretato il fallimento di tutti gli esperimenti aggregativi nati in funzione elettorale. Dalla Sinistra arcobaleno fino a Rivoluzione Civile.
Noi abbiamo un’altra ambizione, che è la stessa che ha per lungo tempo animato Sel e con cui al teatro Quirino provammo nel novembre 2015 a lanciare Sinistra italiana. La nostra ambizione è costruire una forza popolare e di massa della sinistra, autonoma perché fondata strategicamente su di un’analisi precisa del mondo odierno e delle sue contraddizioni, e che al contempo punti a ricostruire un campo di centro-sinistra in grado di fermare le destre e di governare.
A quest’altezza abbiamo incontrato Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani e la loro riflessione autocritica rispetto ai limiti teorici e pratici delle socialdemocrazie degli ultimi vent’anni. Una riflessione autocritica che abbiamo completato con la nostra, provando ad abbandonare – sul piano culturale prima ancora che politico – l’idea dell’autosufficienza, della forza marginale di pura testimonianza.
Il punto di intersezione è, appunto, il processo aperto che stiamo animando con il nostro movimento e con l’interlocuzione sempre più preziosa con Giuliano Pisapia e il suo Campo progressista.
Un punto di intersezione che noi – è utile rinfrescare la memoria agli smemorati – proponemmo a tutta Sinistra Italiana al congresso nazionale. Dicendo, anche in quell’occasione, che ciò di cui avevamo bisogno era un processo aperto, una casa più grande che contenesse le nostre storie e, immediatamente, le storie di chi stava per uscire dal Pd inaugurando una fase nuova della politica italiana.
La risposta allora fu quella di anteporre la costruzione del partito (piccolo e blindato intorno ai gruppi dirigenti, auto-legittimatisi in un processo pattizio tra pezzi e componenti molto lungo e molto farraginoso, a proposito di quel “protagonismo e potere di scelta” che Fratoianni oggi suggerisce) alla apertura di un processo più grande.
Ora che quel partito è formato, si ripropone il cartello elettorale.
Con argomentazioni, a proposito delle nostre scelte, che suonano come paradossali. L’analisi di Fratoianni “incrocerebbe per molti aspetti” le valutazioni di D’Alema e Bersani, che invece noi “non condivideremmo”.
Però noi abbiamo deciso di costruire un movimento insieme a loro, dopo averlo proposto anche a Fratoianni, il quale – pur “incrociando per molti aspetti” i loro ragionamenti – ha preferito costruirsi il proprio. Salvo oggi chiedere a D’Alema e Bersani (e a noi) di fare un cartello elettorale per superare lo sbarramento.
Insistiamo: la politica è bella quando è seria e quando ciascuno si affeziona alla propria carta. La nostra è la stessa di un anno fa e di sei mesi fa: contribuire a costruire e a organizzare una sinistra autonoma, dotata di una cultura politica rigorosa, di una visione del mondo, di un programma coraggioso ma concreto, radicale ma realizzabile.
Una sinistra che abbia l’ambizione di governare, di ricostruire un campo democratico e progressista più largo, e che contenga, al suo interno, i contributi, le esperienze, le progettualità di tanti. Una cosa diversa dalla somma dei gruppi dirigenti o degli apparati, una cosa molto diversa dal rassemblement della sinistra radicale.
Sono nato nel 1984 a Treviglio, un centro operaio e contadino della bassa padana tra Bergamo e Milano. Ho imparato dalla mia famiglia il valore della giustizia e dell’eguaglianza, il senso del rispetto verso ciò che è di tutti. Ho respirato da qui quella tensione etica che mi ha costretto a fare politica. A scuola e all’Università ho imparato la grandezza della Storia e come essa si possa incarnare nella vita dei singoli, delle classi e dei movimenti di massa. A Genova nel luglio 2001 ho capito che la nostra generazione non poteva sottrarsi al compito di riscattare un futuro pignorato e messo in mora. Per questo, dopo aver ricoperto per anni l'incarico di portavoce nazionale dei Giovani Comunisti e avere fatto parte da indipendente della segreteria nazionale di Sel, ho accettato la sfida di Articolo 1 - Movimento democratico e progressista, per costruire un nuovo soggetto politico della Sinistra, convinto che l’organizzazione collettiva sia ancora lo strumento più adeguato per cambiare il mondo.
La Sinistra, Politica Interna,
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di: Simone Oggionni,