Carlo Bastasin, nell’editoriale di oggi de Il Sole 24 ore, commenta la situazione politica tedesca riferendo delle difficoltà inedite che sta incontrando la leadership di Angela Merkel, sinora mai messa seriamente in discussione.
Le aperture di Angela Merkel sull’immigrazione, una svolta insufficiente ma reale, hanno per la prima volta messo in discussione un trattato europeo, come quello di Dublino, e il principio dell’accoglienza dei rifugiati nello Stato in cui il richiedente asilo ha fatto ingresso nell’Unione Europea.
Di fronte all’aumentare della pressione migratoria ai confini dell’ Europa Angela Merkel ha dovuto cedere, proponendo la ridistribuzione di 130.000 richiedenti asilo in deroga ai principi sanciti dal sistema di Dublino. Tale decisione è stata vissuta come una resa da diversi compagni di partito di Merkel, preoccupati per l”avanzata dei movimenti xenofobi o dichiaratamente neonazisti. Horst Seehofer, il capo della CSU bavarese e principale antagonista interno della cancelliera, ha parlato addirittura di “capitolazione dello stato di diritto” e si avanza addirittura la possibilità (per ora remota) che Wolfgang Schauble sostituisca Angela Merkel alla guida del Paese, qualora il consenso nei confronti della sua politica diminuisca ulteriormente.
Ma la novità, secondo il noto editorialista, starebbe nel mutato contesto economico globale. Sinora infatti Angela Merkel paradossalmente è andata avanti restando immobile, anzi facendo del suo immobilismo un emblema della sua leadership continentale, fondata in larga parte sulla stabilità germanica in un mondo variamente attraversato da crisi e sommovimenti.
Lo ha potuto fare grazie alla forza dell’economia tedesca, che negli ultimi dieci anni è cresciuta al ritmo del 2 per cento annuo. Grazie a un modello di stampo mercantilistico, fortemente centrato sulle esportazioni la Germania ha generato un gigantesco surplus commerciale, cresciuto nel 2014 sino alla stratosferica cifra di 214 miliardi di euro. Ma questo modello rischia di entrare in crisi, il rallentamento cinese da una parte e lo scandalo Volkswagen dall’altra aprono nuovi scenari e mettono in dubbio la sua sostenibilità nel medio termine.
E’ presto per dire cosa succederà, ma è innegabile che si sta aprendo una nuova fase che la politica è chiamata a guidare. In altre parole è come se il famoso “pilota automatico” di Draghi sia impazzito e necessiti di un intervento umano, e quindi politico, perchè torni a funzionare.
Se la politica si è rimessa in movimento al centro, lo stesso si può dire per alcune importanti periferie dell’Unione.
In Grecia la seconda vittoria di Syriza inaugura un nuovo periodo di stabilità. L’obiettivo immediato è quello di ritornare a una condizione di normalità. I nuovi fondi attesi serviranno per ricapitalizzare le banche elleniche e per togliere gli odiosi controlli di capitale che frenano l’economia greca. Per fare questo il parlamento, come si sa, ha dovuto approvare un nuovo oneroso programma di tagli, inasprimento della pressione fiscale e riforme. Ma la speranza resta quella di rilanciare la questione della ristrutturazione del debito e di ammorbidire le pretese dei creditori, contando su una ripresa economica alle porte e su un mutato scenario politico internazionale. La Grecia, lasciata da sola a luglio nella sua epica battaglia di Davide contro Golia, pensa e spera di trovare nuovi alleati in Europa e rinegoziare condizioni e vincoli al momento ancora molto pesanti.
Ciò che sta succedendo in Portogallo, dove si è votato il 4 Ottobre, e ancor più la possibilità di un cambio di governo in Spagna, dopo le elezioni del 20 dicembre, danno corpo e sostanza alle speranze dei greci e del loro governo.
In Portogallo si è aperta una settimana decisiva, il presidente della repubblica incontrerà tutte le forze politiche e alla fine dovrà indicare il nuovo capo del governo. E’ probabile che venga indicato il premier uscente, il conservatore Passos Coelho. Il presidente, infatti, potrebbe cedere all’ “orchestrazione politico-mediatica che ha trasformato le elezioni legislative in un’investitura del primo ministro”.
A parlare così è Mário Tomé , uno dei protagonisti della rivoluzione dei garofani che nel 1974 pose fine alla dittatura di Salazar, sottolineando come “in questo momento un governo appoggiato da una maggioranza di sinistra è l’unica soluzione decente e allo stesso quella di cui necessita l’Europa, che si è sinora dimostrata incapace di affrontare le fide che abbiamo di fronte”. Una soluzione che potrebbe concretizzarsi se, come è possibile, le forze di sinistra voteranno la sfiducia al governo delle destre.
Se questo è il quadro sono due le riflessioni che ci interessano direttamente.
La prima è che risulta fortemente indebolita la tesi che di recente ha sostenuto Oskar Lafontaine nella sua lettera alla sinistra italiana . Secondo l’autorevole dirigente della Linke tedesca “l’esempio di Syriza dimostrerebbe l’impossibilità di un governo di alternativa in Europa” e alla sinistra spetterebbe il compito di lavorare per una rottura dell’Unione Monetaria.
La realtà al contrario ci sta dimostrando che una rottura con le politiche di austerità è ancora possibile e che questo cambiamento può essere guidato da governi e alleanze di cambiamento e di progresso.
La seconda riflessione è conseguente. In Italia la diminuita pressione speculativa sui titoli del debito pubblico – conseguenza diretta del muro eretto dalla BCE con il suo ormai celeberrimo Quantitative Easing– sta offrendo margini di flessibilità inediti al governo. Se solo un anno fa Renzi avesse proposto di abolire indiscriminatamente le imposte sugli immobili, in Europa avrebbe ricevuto un secco rifiuto e gli speculatori si sarebbero scatenati, portando alle stelle il famigerato spread.
Sarebbe compito della politica cercare di approfittare del mutato contesto per far respirare il Paese, reduce da una fortissima recessione pluriennale, aiutando e assistendo le fasce di popolazione più povere e aumentando con decisione gli investimenti pubblici per supportare la debole ripresa in atto.
Il governo invece, con lo stile demagogico che è proprio del suo capo, elargisce una mancia preelettorale agli italiani che, come è noto, sono un popolo di santi, poeti, navigatori e proprietari di case.
La misura non serve al Paese ma alle strategie di un premier sempre più forte, che, con le elezioni traformate dalla recente riforma in una sorta di ordalia per l’investitura del capo, mira a rafforzare il suo potere.
Ci riuscirà se dall’altra parte incontrerà un’opposizione ferma su posizioni escatologiche e catastrofiste, possiamo ancora impedirlo se torneremo a parlare di politica e di soluzioni efficaci, concrete e possibili.
Vive a Catania. Attivista politico antirazzista, antisessista e antispecista. Si interessa di questioni economiche e di politica europea e internazionale.
Archivio, La Sinistra, Politica Estera,
di: Alberto Rotondo,
La Sinistra, Politica Estera, Politica Interna,
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