“Totò Riina è malato e ha diritto ad una morte dignitosa”. Questa è l’estrema sintesi della sentenza 27766 del 5 Giugno 2017 della Corte di Cassazione. Il Capo dei Capi, nato a Corleone, in Sicilia, nel 1930 ed in carcere dal 1993 (nonché condannato a 16 ergastoli) torna così a far parlare della sua figura.
Immediate le polemiche, da qualcuno definite troppo aspre e feroci, esattamente “come lui”.
Ho letto diverse opinioni a favore della sentenza. Impeccabili, devo ammettere. Soprattutto a livello giurisprudenziale, livello strettamente collegato al garantismo. Ma… Ma… Quando un ragionamento sembra stridere, pur essendo apparentemente encomiabile e condivisibile, occorre approfondire. Così ho iniziato la mia personale ricerca volta a dare a quel “Ma” dentro me una dimensione.
Samanta Di Persio è una scrittrice aquilana. Ha elaborato un articolo per l’Huffington Post. “Oggi proprio dai colleghi di Falcone e Borsellino arriva questa richiesta. Proprio da chi qualche giorno fa commemorava Giovanni e fra qualche giorno commemorerà Paolo“, ha scritto. “Non siamo un Paese migliore se facciamo morire Totò Riina a casa, no, perché gli abbiamo permesso di uccidere con ferocia, freddezza, senza pietà, gli abbiamo permesso di nascondersi, gli abbiamo permesso di far paura anche da una cella del 41 bis. In carcere muoiono tanti uomini e tante donne che non hanno ucciso nessuno, di cui non sappiamo nemmeno il nome.
Muoiono anche persone che avevano diritto ad una vita dignitosa come Stefano Cucchi e tanti altri. Il Presidente della Repubblica, fratello di Piersanti Mattarella ucciso dalla mafia, ovvero ucciso da Riina, oggi più che mai, dovrebbe esprimersi in maniera netta e in un paese democratico dovrebbe essere dalla parte dei cittadini non mafiosi.”
Proseguo nella lettura delle news a riguardo. Mi imbatto nella dichiarazione fatta da Tina Montinaro, vedova di uno dei tre agenti di scorta di Falcone, intervistata da Repubblica.
“È come se lo stessero graziando. Allora lo Stato si assuma le sue responsabilità. Chiedano direttamente la grazia per Riina al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il nostro Presidente saprà cosa rispondere“.
Per quanto riguarda il concetto di ‘dignità’, la Montinaro non ha alcun dubbio: “Non penso che Riina abbia mai pensato ad assicurare una morte dignitosa a mio marito, a Giovanni Falcone e a tutte le altre vittime che ha fatto saltare in aria. Non posso dimenticare quello che è accaduto nel 1992. Nessuno dovrebbe dimenticare.”
Anche Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo, ucciso 25 anni fa in via D’Amelio, è sconcertato.
“Se davvero venisse liberato sarebbe una resa dello Stato e mio fratello verrebbe ucciso un’altra volta“.
Per il Procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, “Totò Riina deve continuare a stare in carcere e soprattutto rimanere in regime di 41 bis. Abbiamo elementi per ribadire che è ancora il capo di Cosa Nostra“, ha dichiarato al Corriere della Sera. Secondo il Procuratore, le condizioni di salute non sono incompatibili con il regime carcerario del 41 bis. Qualora il carcere di Parma non fosse attrezzato a sufficienza, “nulla impedirebbe il trasferimento in un’altra struttura di massima sicurezza. Ribadisco per Riina quanto già sostenuto nel caso di Bernardo Provenzano, il quale era in condizioni addirittura più gravi: deve rimanere in carcere al 41 bis“.
Dello stesso avviso la presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi: “La sua scarcerazione sarebbe un segnale di cedimento dello Stato nei confronti della mafia che non ci possiamo permettere“. Inoltre, ha proseguito la Bindi, “nessuno vuole negare la dignità a chi, peraltro, non ha certamente assicurato dignità né in vita né in morte a migliaia di persone. Lo Stato agisce nel canone della legalità e quindi del rispetto della persona, e a Riina tutto questo è assicurato“.
Infine, mi ha molto colpito l’opinione espressa da Vanna Iori, docente universitaria. La riporto integralmente, perché grazie a lei quel mio ‘Ma…’ ha trovato pienamente voce.
“La dignità, quando la vita sta per giungere al termine, spetta a tutti, anche a chi ha commesso atroci reati e si trova a scontare la propria pena dietro le sbarre. Ma c’è un elemento, importante, che rende difficilmente accettabile l’uscita dal 41 bis di un uomo che ha distrutto vite, anche giovanissime, e provocato dolore e sofferenze atroci alle famiglie delle vittime, ma anche a un intero Paese, per un determinato periodo storico messo a dura prova dalla ferocia di Cosa Nostra.
Questo elemento è il mancato ravvedimento. Riina non ha intrapreso alcun percorso di pentimento, non ha chiesto perdono e non ha intenzione di farlo. Ecco perché la sua uscita dal carcere, pur per ragioni di salute, che devono comunque essere salvaguardate con l’assistenza e le cure, rappresenterebbe un oltraggio non solo alla memoria di Falcone e Borsellino e del lungo elenco di vittime, ma anche di tutti coloro che ogni giorno hanno lavorato e lavorano per impedire che la mafia contagi la società civile.
Il diritto a morire dignitosamente può dunque essere assicurato a Riina anche dentro il carcere, provvedendo a tutte le cure necessarie. Sbaglia chi, in queste ore, usa termini di accanimento e di vendetta che non servono, ma allo stesso tempo dobbiamo dire no, chiaramente, a qualsiasi ipotesi che contempli l’uscita dal carcere.
Faccio mie le parole di Nicola Gratteri: ‘Un boss come lui comanda anche solo con gli occhi’.
[…] È importante sottolineare che le motivazioni contrarie all’uscita dal carcere di Riina non devono trovare origine nella ritorsione, ma nella ‘più ampia logica di giustizia di cui non si possono dimenticare le profonde indiscutibili ragioni’, come afferma Don Ciotti.
Se ciò avvenisse ci troveremmo di fronte a un segnale di arrendevolezza dello Stato che va oltre il rispetto delle regole.
E le giovani generazioni, che non hanno vissuto la stagione della mafia che uccide, si troverebbero di fronte a un universo valoriale ancora più difficile da interpretare.
È importante ribadire un dovere morale: rendere più umane e dignitose le condizioni dei detenuti nelle carceri, affinché la detenzione si configuri come un’autentica occasione di consapevolezza e riscatto e la pena possa esercitare una reale funzione educativa e riabilitativa. Riina si è posto fuori da questa strada perché è mancato un suo ravvedimento. La memoria delle vittime di mafia va invece rispettata e custodita“.
Come non sottoscrivere questa riflessione?
di: Luca Garau,
La Sinistra, Politica Interna, Società,
di: Luca Rossi,
La Sinistra, Politica Interna, Società,