All’indomani della nostra iniziativa romana con Pietro Grasso, Luciano Canfora ha rilasciato al Fatto Quotidiano un’intervista magistrale, che mette in fila con un rigore davvero lodevole le questioni.
Senza enfasi, senza retorica, dice otto cose che io condivido. Innanzitutto che la nostra proposta non è perfetta, ma merita fiducia. Che a sinistra del Pd, partito ormai di centro, c’è uno spazio ampio. Che il nome è bello, perché contiene i due capisaldi della Costituzione francese del 1793 e del pensiero democratico moderno: libertà e uguaglianza. Che non esiste alcuna supremazia della società civile, ma che partiti e forze non partitiche devono lavorare insieme. Che chi ha dedicato la propria vita all’attività politica, a volte sbagliando, a volte facendo bene, e che oggi promuove e partecipa a questa nuova avventura (da D’Alema a Vendola) merita rispetto. Che i giovani non esistono come classe sociale e che non possono essere la foglia di fico dietro cui nascondersi per additare come obsoleti i progetti politici che si temono. Che Grasso è una bella figura, autorevole, credibile, uomo di Stato e uomo di sinistra. E che, infine, la lista che stiamo promuovendo può essere erede del movimento di difesa della Costituzione che il 4 dicembre di un anno vinse il referendum.
Affermazioni del tutto condivisibili, a cui aggiungo i miei pochi consigli non richiesti per evitare errori già commessi in passato.
Il primo: bene la lista, ma quel che serve è un partito. Lo ha detto bene Speranza, parlando domenica di soggetto politico. Io dico proprio partito, perché le parole sono importanti e bisogna avere il coraggio di tornare a usarle. Su questo terreno bisogna dimostrare di tenere al bene del Paese più che al proprio interesse particolare. Mdp, Sinistra Italiana, Possibile non sono sufficienti. È bene che si sappia che noi dopo il voto andremo avanti, a partire dal progetto di Mdp e andando oltre Mdp, perché la sinistra italiana merita non solo una bella lista ma anche un partito forte.
Il secondo: c’è una discrepanza notevole tra ciò che oggi siamo e cioè che possiamo diventare. C’è un potenziale inespresso, vorrei dire, che va espresso quanto prima. Lo si può fare soltanto allargando e non recintando. Aprendo le porte e non perimetrando nei limiti angusti della “cosa rossa” il nostro progetto. È evidente che Renzi vuole spingerci nell’angolo, dipingerci come la sinistra massimalista e marginale. E noi allora apriamo, allarghiamo, coinvolgiamo Campo Progressista e tutti coloro – fabbriche, società civile, sindacati, corpi intermedi, studenti, movimento femminile – che possono portare un valore aggiunto. La riunione dei capigruppo del Senato ha appena deciso il calendario dei prossimi lavori, lasciando per ultimo e senza data il punto dello ius soli. Neppure questo minimo elemento di civiltà diventerà legge entro la fine della legislatura. Cos’altro serve per capire che il Pd non è centro-sinistra e che lì, intorno a Renzi, non c’è spazio per un programma di alternativa e di discontinuità?
Il terzo e ultimo: chi ha sollevato, tra noi, polemiche sul nome al maschile e sulla fotografia dei leader tutti maschi va ascoltato. Io penso che la grammatica abbia delle regole e non mi scandalizza che il plurale di donne e uomini uguali sia, appunto, uguali. Né mi ha mai convinto il fatto che le quote rose siano la soluzione al problema. Però il problema esiste ed è grande come una casa. È il problema del carattere monosessuato della politica, anche a sinistra, e della sottovalutazione imbarazzante della questione femminile nella società contemporanea. È donna la lavoratrice Ikea di Corsico licenziata perché madre. Sono donne le lavoratrici che in Italia a parità di lavoro e mansione guadagnano quasi il 30% in meno dei colleghi maschi. Sono donne le vittime di violenza, ogni giorno, in casa e fuori. Mi limito a dire che a Sinistra serve come l’ossigeno il loro sguardo, a tutti i livelli.
Sono nato nel 1984 a Treviglio, un centro operaio e contadino della bassa padana tra Bergamo e Milano. Ho imparato dalla mia famiglia il valore della giustizia e dell’eguaglianza, il senso del rispetto verso ciò che è di tutti. Ho respirato da qui quella tensione etica che mi ha costretto a fare politica. A scuola e all’Università ho imparato la grandezza della Storia e come essa si possa incarnare nella vita dei singoli, delle classi e dei movimenti di massa. A Genova nel luglio 2001 ho capito che la nostra generazione non poteva sottrarsi al compito di riscattare un futuro pignorato e messo in mora. Per questo, dopo aver ricoperto per anni l'incarico di portavoce nazionale dei Giovani Comunisti e avere fatto parte da indipendente della segreteria nazionale di Sel, ho accettato la sfida di Articolo 1 - Movimento democratico e progressista, per costruire un nuovo soggetto politico della Sinistra, convinto che l’organizzazione collettiva sia ancora lo strumento più adeguato per cambiare il mondo.
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