Nell’intervista pubblicata su Repubblica all’indomani delle elezioni amministrative, Walter Veltroni effettua una profonda critica nei confronti del Partito Democratico di Matteo Renzi, accusato di essersi allontanato dalla forza innovativa e di sinistra concepita agli esordi. Il progetto originario, infatti, “non voleva essere né l’ampliamento dei Ds, come qualcuno (Bersani ndr) ha preteso poi di fare né la prosecuzione della Margherita, come invece sembra essere oggi”.
Quali sono però le comunanze tra il PdR, come lo definisce Ilvo Diamanti, ed il Pd del Lingotto?
La personalizzazione della leadership e l’autosufficienza sono sicuramente i due aspetti che hanno contraddistinto le segreterie di Veltroni e di Renzi. Lo strumento delle primarie ha finito per esaltare i tratti plebiscitari piuttosto che la vocazione maggioritaria in sè: il centrosinistra si è semplificato con il Pd ed il Pd si è riassunto con il suo leader.
La fusione a freddo tra le classi dirigenti postdemocristiane e postcomuniste presentava le sue contraddizioni sin dall’inizio, poiché due culture politiche differenti devono essere dialettiche e non sommarsi. Tuttavia, la preoccupazione di opporsi all’avanzata del berlusconismo ha impedito una presa di coscienza sui limiti di quel processo. La sinistra ha preferito identificarsi per negazione, attraverso l’antiberlusconismo, piuttosto che in considerazione dell’elemento culturale e valoriale.
Nel rapporto centro-periferia il Partito Democratico ha assunto la connotazione del “partito taxi”, che si mobilita principalmente in vista delle elezioni, affidandosi spesso alla forza delle correnti e dei potentati locali. Il modello del partito di massa è stato sostituito da una struttura verticistica, che comprende imperatore, feudatari, vassalli, valvassori e valvassini. Il partito taxi, quindi, rompe il legame con la storia e con le proprie classi sociali di riferimento. In assenza di una formazione e di una cultura politica ben definita, esso si identifica come un corpaccione centrale e neotrasformista, i cui esponenti, di diversa estrazione politica, sono accomunati semplicemente dall’opportunismo e dalla volontà di sbarcare il lunario attraverso il partito che va al potere.
In questo senso, le elezioni amministrative degli ultimi anni hanno dimostrato come il riposizionamento a centro si sia rivelato più efficace nel riassorbire larga parte del ceto politico berlusconiano piuttosto che i suoi voti, in evidente uscita verso la Lega. Nel frattempo, la rottura a sinistra che ne è conseguita ha prodotto un’emorragia sempre più consistente, che si è manifestata mediante il disimpegno, l’astensione oppure il voto al Movimento 5 Stelle, definito giustamente da Eugenio Scalfari come una forma di “astensione positiva”.
Per recuperare i consensi delle “cellule dormienti” la sinistra dovrà essere in grado di costruire un “partito scuolabus”, ossia una comunità educante, radicata nel territorio, che offra uno spazio di mobilitazione cognitiva e si richiami alle sue radici. Nel partito scuolabus il dialogo tra le differenti generazioni e l’ascolto costituiscono dei valori da non rottamare. Sotto il mito del giovanilismo, infatti, si sono nascosti il disprezzo verso la storia della sinistra da una parte, e un carrierismo dilagante dall’altra.
La divisione in più liste non contribuirebbe sicuramente ad arrestare una pericolosa diaspora; al contrario, la presenza di un unico soggetto politico favorirebbe la costruzione di una alternativa al Pd. Il processo di ricerca dell’identità dovrà precedere e mantenersi autonomo dal dibattito sulle alleanze e sulla leadership, il quale rischia di essere divisivo e fine a se stesso, soprattutto se i movimenti della classe dirigente si separano da quelli reali degli elettori.
Il primo passo da compiere consiste nella definizione di una piattaforma programmatica ampia e condivisa, che sappia unire welfare, uguaglianza e lavoro con altre issues non propriamente socialdemocratiche, vale a dire i diritti civili e l’ambientalismo. Pertanto, la definizione della struttura organizzativa dovrà muoversi di pari passo con quella della sua proposta politica. Su questo punto, mi è rimasta bene in mente una citazione di Alfredo Reichlin, riportata da Roberto Speranza lo scorso 1 aprile in occasione dell’assemblea di Articolo 1 MDP a Napoli: “se separi il contenuto dal contenitore, ottieni un genere letterario”.
È necessario, però, coniugare la pars construens con la pars destruens, effettuando una rilettura critica degli ultimi 30 anni e della tentazione di seguire la “Terza via”. Il renzismo, infatti, costituisce l’approdo di un processo politico più profondo e duraturo, che è sconfinato ben oltre la trasformazione del Pci in un partito socialdemocratico europeo. La rottura del legame affettivo tra la sinistra ed il suo popolo appare evidente se solo si pensa alla sconfitta elettorale di Genova, l’ultima in ordine cronologico, preceduta dal campanello di allarme delle elezioni regionali in Emilia-Romagna del 2014, dove si registrò un’affluenza del 37,71%.
Di sicuro, chi è seduto nel partito taxi vive con indifferenza, noncuranza e talvolta anche con arroganza la rottura di un sentimento, senza interrogarsi sulle cause della crisi di identità, rappresentata in maniera efficace da una metafora di Pier Luigi Bersani: è come vendere casa per andare in affitto.
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